Le questioni
Il nostro ordinamento contempla l’usucapione di un bene comune ?
Il coerede può usucapire il bene ereditario ?
Il coniuge non proprietario può usucapire il bene che si trovi nella casa coniugale ?
Il comproprietario può usucapire il bene comune ?
Capita spesso che vi siano soggetti, talora appartenenti a un medesimo nucleo familiare o proprietari di un abitazione condominiale, o meri comproprietari di un bene comune, che si trovino tutti a esercitare il possesso su uno stesso bene. Vediamo cosa occorre per usucapire un bene comune.
Possesso finalizzato all’usucapione di quota indivisa
Sull’ammissibilità di un possesso ad usucapionem di quota indivisa, vi sono due linee interpretative.
La prima, pur minoritaria, è negativa in considerazione della difficoltà di cogliere l’entità della quota di fatto posseduta dall’interessato, dinanzi a un contestuale compossesso inter partes.
La seconda corrente di pensiero, peraltro prevalente anche in ambito giurisprudenziale, è positiva e e trova riscontro nell’art. 1140 codice civile.
Il potere di fatto sulla cosa può così corrispondere all’esercizio di diritti in comunione, allorquando il possesso sia esercitato, al medesimo titolo, da ciascun compartecipe, servendosi della cosa comune senza impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto.
Dunque, il nocciolo della questione verte sulla nozione di impedimento agli altri partecipanti.
Perciò, l’intensità concreta delle modalità di godimento della cosa comune sarà l’indice rilevatore della posizione possessoria tutelabile, a difesa di tutte quelle attività con le quali uno dei compossessori (comproprietari) insinui unilateralmente una modificazione che, di fatto, sopprima o turbi il compossesso degli altri.
Tali comportamenti possono sostanziarsi nell’esclusione totale dal possesso comune nei confronti degli altri aventi diritto,attraverso un uso esclusivo del bene, ovvero mediante atti che ostacolino o rendano più difficoltose per gli altri possessori l’utilizzo del bene in maniera paritaria.
Ai fini dell’usucapione della proprietà esclusiva, è necessario che il compossessore estenda il possesso in via esclusiva sul bene comune, unitariamente inteso.
Possesso esclusivo
Dunque non sono sufficienti occasionali atti di utilizzazione della cosa comune (che possono presumersi esser stati compiuti per mera tolleranza – art. 1144 codice civile – ad esempio, per spirito di amicizia, di gentilezza, di cordialità, di buon vicinato etc.), ma occorrono atti integranti un comportamento durevole nel tempo, tale da ingenerare un possesso esclusivo animo domini sulla cosa nella sua interezza, incompatibile con l’originario permanere del godimento uti condominus.
Si tenga conto che la breve durata e la transitorietà pur essendo, di regola, elementi essenziali per la configurabilità degli atti di tolleranza, non rilevano in caso di vincolo di stretta parentela tra gli interessati.
È necessario, peraltro, che chi eccepisca tale tolleranza fornisca la prova positiva della sua esistenza, quale fatto impeditivo della tutela possessoria eventualmente invocata dalla controparte.
Dunque, ai fini della decorrenza del termine per usucapire, sarà necessario dimostrare l’impossibilità assoluta per gli altri partecipanti di proseguire un rapporto materiale con il bene.
Interversione del possesso
Come noto, l’interversione del possesso, quale momento da cui effettivamente inizia a decorrere il termine utile per l’usucapione di un bene, consiste nel mutamento della detenzione nel possesso ex art. 1141 codice civile.
In base a tale norma, si presume che il soggetto, che eserciti su di un bene il potere di fatto corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale, sia possessore di tale bene.
Ai fini dell’usucapione da parte del coerede, del condomino, del comproprietario o di chi, in genere, possieda nomine proprio, però, non vi è necessità di compiere una interversio possessionis: infatti, a tal fine sono sufficienti atti dai quali risulti un comportamento che sia univoca espressione dell’intenzione di possedere animo domini, senza che intervengano, al contempo, opposizioni durante il tempo utile al compimento dell’usucapione (art. 1102, comma 2, codice civile).
Tipico, a riguardo, è il caso del coerede che potrà usucapire la quota degli altri prima che avvenga la divisione del bene, senza porre in essere una condotta che integri una vera interversione del titolo del proprio possesso.
Casi concreti e pronunce della Corte di Cassazione
Usucapione del bene ereditario
È stato ritenuto che, quando il coerede utilizzi e amministri il bene ereditario, provvedendo anche all’esborso delle spese per la sua manutenzione, sussista la presunzione iuris tantum che questi agisca in qualità di possessore.
Pertanto, qualora il coerede invochi l’usucapione ha l’onere di provare, ex art. 1102 c.c., che il rapporto materiale con il bene si è verificato in modo tale da escludere gli altri coeredi dalla possibilità di instaurare un analogo rapporto con il bene ereditario (Cass. 28 aprile 1993, n. 5006).
Inoltre, il coerede che, a seguito della morte del de cuius, sia rimasto nel possesso del bene ereditario, può, anche prima della divisione, usucapire la quota degli altri coeredi.
Infine, uno dei coeredi può acquistare per usucapione, non soltanto l’intero compendio ereditario, ma anche, ed esclusivamente, la quota di uno soltanto degli altri eredi.
Quest’ultima ipotesi si realizza nel caso in cui il coerede abbia posseduto animo domini detto compendio, in modo incompatibile con la possibilità di godimento di uno o di alcuni soltanto degli altri partecipanti alla comunione, fermo restando il compossesso dei restanti coeredi, limitatamente alle rispettive quote (Cass. 13 ottobre 1975, n. 3282).
Usucapione del coniuge non proprietario
Dalla convivenza coniugale non scaturisce, di per sé, una situazione di compossesso del bene; è, tuttavia, configurabile una situazione di condetenzione autonoma, allorquando concretamente il coniuge esplichi anch’esso un potere di fatto sul bene.
I casi prospettabili concernono, ad esempio, i beni che siano rimasti nella casa coniugale dopo la morte di uno dei coniugi o dopo la separazione e che vengano utilizzati unicamente dal coniuge superstite dopo essere stati adibiti, nel corso del matrimonio, a un uso comune; ovvero, i beni che si trovino nella casa del coniuge separato, dopo essere sempre stati nella casa coniugale, all’interno della quale venivano utilizzati da entrambi i coniugi.
In assenza di una prova che attesti l’acquisto del possesso esclusivo da parte di un singolo coniuge, il bene deve considerarsi posseduto da entrambi; al possesso esclusivo esercitato dal coniuge che si serva del bene, non può essere attribuito alcun valore in ordine alla prova della proprietà: l’esclusiva proprietà in capo a uno dei due, scaturirà da una prova idonea a vincere la presunzione di comproprietà ex art. 219, comma 2, codice civile.
Conseguentemente, potrà essere dichiarata la comproprietà per intervenuta usucapione ventennale di un immobile, solo quando il compossesso dell’altro coniuge si sia manifestato attraverso una serie di concrete attività sul bene (ad esempio attraverso intestazione di utenze, annotazione catastale, assunzione di decisioni amministrative), inequivocabilmente corrispondenti all’esercizio uti dominus.
Usucapione in ambito condominiale
Com’è noto, nel condominio vi è una comunione forzosa su alcune parti dell’edificio, costituenti accessori, per lo più, necessari delle parti in proprietà individuale.
Rispetto a tali parti, sussiste una presunzione di proprietà comune poiché, di regola, esse sono destinate permanentemente all’uso e al godimento comune.
In ambito condominiale, tuttavia, la presunzione di comunione stabilita all’art. 1117 codice civile, per tutte quelle cose poste a godimento o servizio del condominio (es. muri maestri, tetti, lastrici solari, scale, portoni d’ingresso, vestiboli, anditi, portici, cortili etc.), impone che il bene sia dotato di propria autonomia e indipendenza dal predetto asservimento funzionale.
Siffatta presunzione,però, può essere superata solo in forza di un titolo convenzionale che, nel dar luogo alla nascita del condominio, includa espressamente un dato bene nell’alveo della proprietà esclusiva di uno dei condomini, ovvero nel caso in cui uno dei condomini abbia posseduto per il tempo necessario al perfezionamento dell’usucapione (Cass. 8 agosto 1986, n.4987).
Il singolo condomino, pertanto, qualora intenda espandere in via esclusiva il possesso sul bene, pur non dovendo necessariamente compiere gli atti di interversio possessionis, dovrà porre in essere un comportamento durevole e idoneo a evidenziare il possesso esclusivo ad animo domini sulla cosa, incompatibile con il permanere di quello altrui (Cass. 26 novembre 1997, n. 11842; Cass. 15 novembre 1977, n. 4986;Trib. Spoleto 9 marzo 1982).
Così il condomino che asserisca di avere usucapito la cosa comune, dovrà provare di averla sottratta all’uso comune per il periodo utile all’usucapione, con una prova rivolta a dimostrare atti univocamente rivolti contro i compossessori, e tali da rendere riconoscibile a costoro l’intenzione di non possedere più come semplice compossessore, non bastando, tuttavia, a tal riguardo la prova del mero non uso da parte degli altri condomini, stante l’imprescrittibilità del diritto in comproprietà.
In tale ambito, si segnalano anche altre pronunce.
Aperture su muri perimetrali
Poiché il diritto del condomino di effettuare opere nelle parti comuni impone di non mutare la destinazione della cosa comune e di non impedire agli altri partecipanti di usare la cosa comune, il condomino può utilizzare il muro perimetrale dell’edificio condominiale e può effettuare un’apertura sul medesimo, quando la stessa si risolva in un semplice maggiore suo godimento, senza alterare la sua destinazione, e senza impedire il pari uso degli altri condomini. (Cass. 25 ottobre 1988, n. 5780; Cass. 13 gennaio 1995, n. 360).
E’ stato stabilito che «l’ampliamento o l’apertura di una porta, finestra, da parte di un condominio, o la trasformazione di una finestra, che prospetta il cortile comune, in porta d’accesso al medesimo, mediante l’abbattimento del corrispondente tratto del muro perimetrale che delimita la proprietà del singolo appartamento, non costituisce, di per sé, abuso della cosa comune idoneo a ledere il compossesso del muro comune che fa capo, come ius possidendi, a tutti i condomini (Cass. 4 febbraio 1988, n. 1112).
Usucapione del bene in comunione ordinaria
La Cassazione ha ritenuto acquistata per usucapione la proprietà di una quota di un edificio in comunione, ricostruito a seguito di perimento totale, da parte dei soli comproprietari che, fin dalla edificazione della nuova costruzione, avevano occupato interamente i tre piani del palazzo, nel totale disinteresse dell’altro comunista (Cass. 20 maggio 2008, n. 12775).
Usucapione del coerede
Il coerede può usucapire l’altrui quota indivisa della cosa comune, dimostrando l’intenzione di possedere non a titolo di compossesso ma di possesso esclusivo (uti dominus) e senza opposizione per il tempo al riguardo prescritto dalla legge, senza la necessità di compiere atti di interversio possessionis potendo, invece, il mutamento del titolo consistere in atti integranti un comportamento durevole, tali da evidenziare un possesso esclusivo e animo domini della cosa, incompatibili con il permanere del compossesso altrui; viceversa, non sono al riguardo sufficienti atti soltanto di gestione consentiti al singolo compartecipante o anche atti familiarmente tollerati dagli altri, o ancora atti che, comportando solo il soddisfacimento di obblighi o erogazione di spese per il miglior godimento della cosa comune, non possono dare luogo a un’estensione del potere di fatto sulla cosa nella sfera di altro compossessore. (Cassazione civ., Sez. II, 11 agosto 2005, n. 16841)
Per usucapire la quota degli altri, il coerede che è compossessore animo proprio e a titolo di comproprietà non è tenuto a un mutamento del titolo, ma soltanto a un’estensione dei limiti del suo possesso sul bene. Non è sufficiente che gli altri partecipanti si siano astenuti dall’uso comune della cosa, occorrendo altresì che il coerede ne abbia goduto in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziare una inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus. (Cassazione civ., Sez. II, 25 marzo 2009, n. 7221)
Usucapione del condomino
Il godimento di una porzione dell’edificio da parte del singolo condomino può integrare possesso idoneo all’acquisto per usucapione della porzione medesima, solo quando presenti connotati di esclusività e incompatibilità con il compossesso degli altri partecipanti, e non anche per il mero fatto che si traduca in una utilizzazione di detto bene più intensa o diversa da quella praticata dagli altri condomini (Cassazione civ., Sez. II, 25 maggio 1984, n. 3236).
Costituisce innovazione, vietata ai sensi dell’art. 1120, comma 2, c.c., e, come tale, affetta da nullità, l’assegnazione nominativa da parte del condominio a favore di singoli condomini di posti fissi nel cortile comune per il parcheggio della seconda autovettura, in quanto tale delibera, da un lato, sottrae “utilizzazione” del bene comune a coloro che non posseggono la seconda autovettura e, dall’altro, crea i presupposti per l’acquisto da parte del condomino, che usi la cosa comune con animo domini, della relativa proprietà a titolo di usucapione, non essendo a tal fine necessaria l’interversione del possesso da parte del compossessore (Cassazione civ., Sez. II, gennaio 2004, n. 1004).
Usucapione del comproprietario
Il comproprietario può usucapire la quota degli altri comproprietari estendendo la propria signoria di fatto sulla res communis in termini di esclusività, ma a tal fine non è sufficiente che gli altri partecipanti si siano limitati ad astenersi dall’uso della cosa, occorrendo che il comproprietario usucapiente ne abbia goduto in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui, in modo tale, cioè, da evidenziarne una inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus. (Cassazione civ., Sez. II, 28 aprile 2006, n. 9903).
CONCLUDENDO
Nel caso in cui un bene appartenga in proprietà a più soggetti di cui uno ne abbia l’autonomo godimento, occorrerà provare di aver esercitato, per il tempo richiesto ai fini dell’usucapione (venti anni o meno, in funzione della tipologia del bene che si vuole usucapire), il relativo possesso esclusivo, inconciliabile, al di fuori di una possibile altrui tolleranza, con la facoltà degli altri comproprietari di ogni atto di utilizzo o gestione del medesimo bene.
La manifestazione esteriore non equivoca dovrà concretizzarsi, non in una interversio possessionis, bensì in atti integranti comportamenti durevoli, non consistenti, tuttavia, in singoli atti di mera gestione della cosa comune, consentiti al singolo compartecipe, ovvero in una condotta inidonea a estendere il potere di fatto sulla cosa nella sfera dell’altro compossessore.
Esempi pratici
Chi agisce in giudizio, per essere dichiarato proprietario di un bene, sostenendo di averlo usucapito, deve fornire la prova della sottrazione all’uso comune della cosa, per il periodo utile all’usucapione e dell’intenzione di non possedere più uti condominus, bensì uti dominus; mentre, il comproprietario convenuto in giudizio avrà l’onere di eccepire, ad esempio, i vizi del possesso altrui o che la controparte ha solo la detenzione della quota di bene contesa.
L’onere della prova, dunque, investirà essenzialmente: 1) la condotta uti dominus del compossessore; 2) la misura iniziale della quota di spettanza del compossessore; 3) l’individuazione dell’estensione sull’altra quota del bene pro indiviso; 4) il decorso del tempo utile a usucapire.
Quanto ai mezzi di prova esperibili, risultano ammissibili sia le presunzioni che le testimonianze.