IL LICENZIAMENTO PER GIUSTA CAUSA
Si tratta di un licenziamento irrogato, nei casi in cui il lavoratore si sia reso responsabile di un grave comportamento che abbia leso il rapporto di fiducia intercorrente con datore di lavoro.
Esaminiamone le caratteristiche e i presupposti.
Vi è obbligo di preavviso ?
Il licenziamento per giusta causa è ravvisabile in quei comportamenti che siano così gravi da non consentire più di proseguire il rapporto di lavoro: il datore di lavoro ha la possibilità di licenziare il proprio dipendente, senza che sia tenuto a rispettare l’obbligo di dargli un preavviso.
Ciò, ovviamente, al termine di un procedimento disciplinare che andrà comunque avviato prima.
Questo vale anche nel caso in cui vi fossero delle cause sospensive del rapporto di lavoro come, per esempio, una malattia del lavoratore medesimo.
Quando si ha un licenziamento disciplinare ?
La casistica è molto varia: possono, infatti, costituire valido motivo di licenziamento tutte quelle gravi violazioni di doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro, poste alla base della stessa esistenza del rapporto, con una valutazione finale che poi spetterà, ovviamente, al giudice.
Si pensi, ad esempio, ad una condotta del dipendente che abbia determinato una concorrenza sleale o addirittura a condotte penalmente rilevanti proprio ai danni del datore di lavoro.
Come impugnare il licenziamento ?
Come detto, il licenziamento per giusta causa deve comunque essere preceduto da un procedimento disciplinare, nel corso del quale il datore è tenuto a fare una specifica contestazione al lavoratore, in relazione alle condotte che gli si addebitano, per consentigli di difendersi.
Se, successivamente, il dipendente volesse impugnare il licenziamento, dovrà inviare al datore di lavoro una lettera di contestazione, entro 60 giorni che decorreranno da quanto gli è stato formalmente comunicato il licenziamento medesimo.
Entro i successivi 180 giorni, sarà possibile al lavoratore impugnare il licenziamento, agendo in giudizio col deposito di un ricorso in Tribunale.
Quali sono le conseguenze di un licenziamento dichiarato illegittimo ?
A causa delle varie riforme che si sono susseguite nel tempo, occorre fare una distinzione tra i dipendenti assunti prima e dopo il 7 marzo 2015, data dell’entrata in vigore del c.d. Jobs Act del 2015 (Decreto Legislativo n. 23/2015), con il quale è stato introdotto un sistema a tutele crescenti.
Se, dunque, il lavoratore fosse stato assunto prima del 7 marzo 2015, occorrerà fare un’ulteriore distinzione tra quelle imprese che abbiano più di 60 dipendenti
totali (o unità produttive con più di 15 dipendenti) e imprese che, ovviamente, siano al di sotto di tali limiti.
Perciò, per le aziende che superino tale soglia dimensionale, il datore potrà essere obbligato a riassumere il lavoratore, qualora fosse dichiarato illegittimo il licenziamento per giusta causa che aveva operato.
Per le imprese che, invece, non raggiungano tali limiti dimensionali, in caso di licenziamento illegittimo, il datore dovrà solamente corrispondere un’indennità economica al dipendente, senza però alcun obbligo di reintegra nel suo posto di lavoro.
Con la riforma del 2015, e quindi per tutti i lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015, non vi è più alcun obbligo di reintegro per illegittimo licenziamento, nel caso in cui venga accertato che la condotta sia punibile con una diversa sanzione disciplinare residuando, tale obbligo, solo nei casi in cui venga accertato che il licenziamento era illegittimo per insussistenza del fatto materiale contestato.